Storia

Poche notizie certe, vuoti di secoli, autori dubbi, proprietà confuse e che spesso non coincidono col possesso reale, nomi di famiglie che si intrecciano e si avvicendano mentre castello, marchesato e principato rimangono di fatto spesso nelle stesse mani. Nel disordine apparente, continuità relativa che prosegue da un secolo all’altro, fino ad oggi.

Il castello nasce come rocca militare. Deve il suo nome a Sinibaldo, conte e rettore della Sabina tra il 1058 e il 1065. Si sa poco delle vicende del castello nei secoli successivi. Appartenne ai monaci benedettini di Farfa, venne disperso con la dilapidazione dei beni dell’Abbazia, tra il XIII e il XV secolo entrò nei feudi di due famiglie poi scomparse – i Buzzi e i Brancaleone di Romancia -, con qualche traccia di tutto ciò negli Statuti di Tivoli e nell’Archivio della Cattedrale di Rieti. In quei secoli si stabilizza l’impianto medievale del castello come fortezza.

Solo nel XVI secolo arrivano notizie appena più precise. I conti Mareri risultano in qualche modo proprietari del Castello. Subiscono presto l’aggressività dei Medici, entrati in conflitto con i Mareri che ostacolavano la loro espansione in Abruzzo e in particolare nella zona de L’Aquila. Leone X de’ Medici aveva già nel 1517 nominato cardinale Alessandro Cesarini. Approfittando di una lite tra due Mareri, Clemente VII de’ Medici assegna metà del castello al cardinale, che poi completerà l’acquisizione in data incerta, ma in ogni caso entro il 1539. Documenti scoperti di recente sembrano raccontare una vicenda molto più complicata, ma non cambia l’esito: il passaggio del Castello ai Cesarini. Corse voce all’epoca che in realtà al Cesarini e alla sua famiglia fosse stato concesso dal Medici il solo possesso del castello, con l’obbligo di provvedere al suo mantenimento e al rafforzamento del suo ruolo strategico sul confine tra lo Stato Pontificio e il Reame di Napoli.

La svolta: il Sacco di Roma del 1527

Alessandro Cesarini segna la svolta.Il recente Sacco di Roma lo spinge ad una grande attenzione verso questo feudo e edificio non troppo lontani dalla città, ma protetti dalla distanza, dall’asprezza dei luoghi, dalla facilità della loro difesa, dalla funzione di pivot strategico tra Roma e Rieti e sull’intero quadrante militare tra il Lazio e L’Aquila.

Il Cardinale Alessandro Cesarini

Il Cardinale Alessandro Cesarini

Al tempo stesso il Cardinale non vuole rinunciare ai piaceri e modelli di bellezza della vita signorile. Ecco allora l’idea di trasformare una Rocca medievale e guerriera in un ibrido tra possente struttura fortificata e palazzo rinascimentale.

Cesarini si rivolge per questo a Baldassarre Peruzzi, presente a Roma e nominato Architetto della Fabbrica di San Pietro nel 1530. La richiesta al Peruzzi venne formulata probabilmente in occasione delle scenografie delle Bacchidi di Plauto, commissionate dalla famiglia Cesarini per le nozze tra Giuliano Cesarini e Giulia Colonna  (28 maggio 1531).

La scelta del Peruzzi era forse la più adatta a quadrare il cerchio delle esigenze contraddittorie del Cardinale. Architetto militare tra i più grandi dell’intero Rinascimento, Peruzzi era però anche architetto civile di straordinaria finezza, come già il Palazzo Massimo alle Colonne basterebbe da solo a dimostrare. Peruzzi aveva anche teorizzato di fatto, in alcuni progetti, il superamento della distinzione rigorosa tra villa e fortezza cara a un architetto militare come Francesco di Giorgio, ai Sangallo e a Leonardo. Era possibile unire funzione militare e piacevolezza del vivere nello stesso edificio, e portando al vertice sia la prima che la seconda.

Ecco allora il progetto per il castello di Rocca Sinibalda, sintetizzato in tre disegni conservati agli Uffizi di Firenze: uno sperone anteriore e una ‘coda’ consacrati alla difesa dai due punti in cui il castello era aggredibile; e un grande corpo centrale – il ‘palazzo’ – a picco su un costone di roccia. Configurazione  geniale, che sposa e prosegue verso l’alto in modo coerente il movimento del terreno. Configurazione insolita, che fu letta subito dai contemporanei come zoomorfa: un’aquila con le ali distese, omaggio alla funzione guerriera e all’aquila asburgica che Carlo V aveva inquartato nello stemma dei Cesarini per il loro fedele sostegno alla causa imperiale; ma anche, sinistro ma vicino ad una ampia iconografia dell’Antirinascimento, uno scorpione.

I lavori di rifacimento del vecchio impianto medievale iniziarono nel 1532, e Peruzzi morì nel 1536. In povertà, affannosamente all’inseguimento di nuovi incarichi che lo portavano qua e là tra Lazio, Toscana e Umbria, Peruzzi si occupò sicuramente assai poco della realizzazione del suo progetto. Non si sa molto di chi lo portò a compimento – probabilmente allievi di Andrea di Sangallo e suoi. Il confronto tra i disegni e l’edificio finale mostra i molti adattamenti cui dovettero ricorrere in corso d’opera.

Alessandro Cesarini e il cugino Giuliano iniziarono poi il lavoro di decorazione delle pareti, ispirato dalle Metamorfosi di Ovidio con innesti importanti di narrazioni familiari dei Cesarini.  Vi parteciparono con stili molto diversi Girolamo Muziano, gli atelier del Manierismo romano, e altri ancora da identificare, con cicli narrativi di grande potenza e visionarietà. Molti affreschi del resto attendono ancora un loro costosissimo recupero.

Nei decenni successivi al suo rifacimento, il Castello subisce le alterne vicende dei Cesarini nella guerra con i Carafa, poi – nei secoli dal XVII al XIX – assedi, l’esplosione della santabarbara (1710), incendi, abbandoni, decadenza, e un avvicendarsi di altre famiglie: i Mattei, i Lante della Rovere, i Muti-Bussi, i Lepri. Carosello di nomi che dura fino ad epoca recentissima, in un intreccio inestricabile di diritti giuridici e di possesso a tempo spesso spacciato per proprietà, dove i primi sono molto più stabili di quanto non sembrino sulla carta,  e prevale un dato di fondo: le lunghe parentesi prive di qualsiasi informazione o documentazione attendibile.

Ovidio, Metamorfosi, 1582

                     Ovidio, Metamorfosi, 1582

La storia del Castello di Rocca Sinibalda è sfuggente quanto la sua identità. Il Castello attende chi la voglia riscrivere pazientemente, liberandola dagli errori, invenzioni e inesattezze che la circondano e girano anche in siti e testi ‘seri’.  La bellezza del Castello lo merita.